Zen e montagna. Un paragrafo del libro Un sapere sottile del maestro ch’an Sheng-Yen mi ha fatto riflettere sull’attrazione che molti praticanti sentono verso il paesaggio montano. Non per niente diversi templi sorgono in località di alta quota che garantiscono pace e silenzio, ad esempio il monastero zen di Berceto. La vita in un eremo è giustamente molto ambita dai praticanti di ogni sentiero spirituale (non solo zen).
Ecco dunque la citazione del maestro Sheng-Yen che, solo all’apparenza, può sembrare controcorrente:
Quando arriviamo alla terza fase del Percorso del Bodhisattva il picco più alto della montagna e la valle più profonda sono la stessa cosa. Pensate a questo: dal punto di vista di una persona che si trova su un satellite e guarda giù verso la terra, la cima più alta dell’Himalaya è un punto in basso […] Un Bodhisattva al terzo livello non ha sentimenti di gioia nè di sofferenza, ma il suo corpo percepisce sensazioni normali. Per esempio, se non ha mangiato avrà fame; se la temperatura è fredda o calda avrà la sensazione del freddo o del caldo, ma non ne sarà disturbato […]
Per la maggioranza di noi praticanti (che pertanto non siamo ancora alla terza fase del Percorso del Bodhisattva), l’ambiente/il paesaggio che accoglie il nostro sentiero spirituale può esserci o meno d’aiuto. In montagna (e con montagna intendo quella selvatica e non certo quella turistica) la pratica è di sicuro facilitata. I “disturbi” sono minori e i rituali che mettiamo in essere sono in sintonia con i ritmi della natura e la respirano a fondo.
A questo punto mi viene spontaneo pensare al percorso di addestramento dei cani. L’addestratore, prima di abituarli a un corretto comportamento in ambiente urbano, inizia ad addestrarli in situazioni tranquille, senza distrazioni, per procedere in seguito con situazioni a bassa distrazione e poi, ancora in seguito, a media e infine alta distrazione.
Quando si decide di addestrare la mente alla pratica zen penso che sia importante procedere con gradualità allo stesso modo con cui si addestrano i cani. La montagna selvatica è per il praticante il luogo ideale sia per lo zazen (meditazione seduta) sia per la meditazione in marcia in ogni singolo attimo del giorno. Non solo la mente non ha intorno a sè distrazioni, motivi di stress, sollecitazioni sensoriali disturbanti continue (pensate al caos e al rumore delle grandi città), ma si trova a praticare in un ambiente che gli dona ripetute piccole/grandi esperienze di Nirvana, di quiete, di bellezza, di estasi. La spiritualità in montagna è tangibile ovunque.
In montagna è possibile sperimentare il Nirvana come stato della mente successivo/conseguente all’Estasi (beatitudine) e al Satori (illuminazione): uno stato prolungato di quiete mentale particolarmente/completamente appagante in cui si vive il così detto contatto col cielo (la parte spirituale che è in noi e che, pur essendo in noi, percepiamo come esterna).
Gli assaggi di Nirvana donati dalla pace e dalla bellezza della natura aiutano i praticanti a procedere nel sentiero, finchè giungerà il momento in cui – come dice il maestro Sheng-Yen – il picco più alto della montagna e la valle più profonda saranno la stessa cosa, ed anche il caos e il rumore della città non avranno più il potere di distruggere la nostra quiete e il nostro zen.
Di certo la condizione mentale di calma e felicità assoluta vissuta in ambiente senza distrazioni è molto fragile. Ma esserne consapevoli è già un aiuto. Ogni volta che sarà inevitabile calarsi in situazioni a rischio, sarà importante essere molto vigili e intervenire subito al primo segno di disagio. A poco poco ci addestreremo a un sempre maggiore distacco dalle contrarietà. A poco a poco impareremo a vivere gli imprevisti indesiderabili senza lasciarci intrappolare. Cerchiamo solo di avere pazienza ed essere amorevoli con noi stessi, praticando con disciplina nella quotidianità.
A questo punto, concludo l’articolo con un brano tratto da Scrivere Zen e Satori creativo che mi sembra adatto al discorso:
Nulla è definitivo, certo, si può ricadere in trappola e perdere bellezza, calma e libertà da un momento all’altro; possiamo ri-complicarci la vita e ri-cadere in basso … la società attuale sta mirando a questo con un fucile di estrema precisione puntato su ognuno di noi, ma chi pratica lo Zen in modo autentico e consapevole sa, dopo la percezione del Satori, di avere raggiunto una “porta senza porta”, e questo lo rassicura. Non si tratta di una porta blindata! Nulla da scassinare, nulla di difficile. Se c’è una ricaduta, consideriamola passeggera … basta intervenire subito, cambiare registro, ritornare dalla terra al cielo. Ora sai cosa significa e sai come fare. Quando la vita ti dona le condizioni giuste al Satori, è tuo compito proteggerle e preservarle.
[…] quando si attraversa quella porta senza porta, si cammina liberamente tra cielo e terra.
Cerchiamo dunque di proteggere e preservare le condizioni esterne giuste per l’Estasi, per il Satori, per il Nirvana. E ogni volta che le condizioni esterne giuste non ci saranno, cerchiamo al più presto di ritornare ad esse. Non restiamo giù in basso! Proviamo subito ad elevarci nuovamente (e ognuno sa in che modo farlo) finchè un giorno la percezione muterà: non ci sarà più nè basso nè alto, nè monti nè valli, nè montagna nè città.
La frase conclusiva della citazione è tratta da La porta senza porta, Adelphi 1987 (libro consigliatissimo).
Che la vostra/nostra vita possa essere illuminata!
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